Io non festeggio. Non c’è niente da festeggiare. Si chiude un’era, quella imperniata sul ruolo politico e privato di Silvio Berlusconi, ma questo non giustifica nessuna festa. Gli italiani lo hanno votato, lo hanno voluto nel 1994, nel 2001, nel 2008. Hanno scelto liberamente di designare questo signore come capo del Governo e quindi come capo del sistema amministrativo della nostra Repubblica. Esattamente come hanno designato Prodi nel 1996 e nel 2006.
Non nascondo che ho avuto dei moti di gioia quando è stato ferito (cavalletto nel 2004 e miniatura del Duomo di Milano nel 2009), ma a mente fredda mi rendo conto che è stato un errore, se non altro perché il tuo avversario politico è una persona come te e come tale, deve essere rispettata sempre, anche se ha idee e valori nettamente e profondamente diversi dai tuoi.
In secondo luogo, personalmente non voglio festeggiare le dimissioni di questo governo, perché ritengo che il momento sia molto più serio. L’Italia è a un passo dal fallimento, per colpa di un “laissez-faire” liberista che non condivido, strozzata da un’economia ferma, stagnante, chiusa da poteri e soggetti che non vogliono cambiare e perdere prerogative e privilegi. Vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca, vogliamo che i conti siano in regola ma non vogliamo sacrifici. Ma è anche vero che in questi anni, di governi di centro-destra e centro-sinistra, poco si è fatto per la nostra economia. Io non sono un economista, ho studiato qualcosa ai tempi di ragioneria, perciò posso solo dare la mia personale visione. Siamo diventati sempre più poveri, almeno noi della maggioranza del popolo, mentre alcuni si sono arricchiti sempre più… pochi… un contrasto, una forbice demografica che progressivamente si è fatta sempre più ampia. Da una parte il grosso della popolazione che si vede ridurre il reddito per effetto delle maggiori spese dovute ai tagli agli enti locali, dall’altra una piccola parte di italiani che invece non risente di questi tagli ma che anzi, per uno strano gioco, vede aumentare il proprio reddito.
E questo, caro presidente Berlusconi, è per effetto delle sue scelte economiche. Lei ha visto aumentare il suo patrimonio personale fino a 7,8 miliardi, io invece mi trovo ancora senza lavoro, a vivere insieme alla mia famiglia, in una casa vecchia e con tanti problemi di ristrutturazione che non ci possiamo permettere, e viviamo tutti con la pensione di mamma, perché quel poco che viene fuori come guadagno dall’azienda agricola di famiglia è reinvestito per l’acquisto di trattore & attrezzature.
Le manovre economiche che si sono succedute in questi anni hanno avuto, come impatto sul mio portafoglio, l’aumento delle spese, delle tasse, il continuare a non trovare lavoro, o per lo meno saltuari e con livelli di stipendio bassi… e senza nessun paracadute, perché non ho svolto lavori come dipendente e quindi non posso accedere al sussidio di disoccupazione. E le tasse, da pagare, pagate tutte fino all’ultimo centesimo, anche a costo di saltare un pasto. E con grandi sacrifici, avere internet a casa, un pc più o meno funzionante, un cellulare con qualche funzione in più del semplice bluetooth… Ma ogni passo è stato ponderato e valutato. Mio padre diceva sempre, nella semplice verità contadina, che non bisogna fare il passo più lungo della gamba.
Io non festeggio… lo farò quando l’attuale classe dirigente si farà da parte, per nuove menti e nuove idee, che siano più etiche e moralmente più giuste. Finché privilegi e agevolazioni saranno sostenute dai sacrifici di pochi, io non potrò dire di essere felice della caduta di un governo. Vorrei un governo che la smetta di litigare per la scorta o per spostare soldi dalla scuola pubblica in favore di quella privata, che dia soldi al mio comune per i servizi sociali, che mi permetta di vivere e non di morire di fame, che faccia i controlli per chi non paga le tasse e permetta di abbassare la pressione fiscale, che reintroduca l’ICI ma che faccia pagare chi ha seconde-terze-ennesime case di proprietà e non sulla prima casa di residenza, a meno che non sia di lusso.
Prendiamo gli Stati Uniti d’America: usiamo sempre questo grande stato come paragone per i mali e i beni del mondo occidentale. Lì, si pagano le tasse locali, statali e federali, e i proventi sono reinvestiti sul territorio, direttamente, senza passaggi intermedi. Il federalismo fiscale sarebbe questo. Ma l’Italia sembra stravolgere ogni buona idea… Ecco perché non c’è da festeggiare, ma da rimboccarsi le maniche e tentare di far uscire il nostro Bel Paese fuori dalla crisi, con il sacrificio di tutti però!!